mercoledì 29 ottobre 2008

Writers in galera!

Il Berlusca si è messo una mano sulla coscienza. Ci è voluto un po', perchè non la trovava più (la coscienza, non la mano) e alla fine si è rassegnato e ne ha comprata una nuova di zecca. Dicevo, il Berlusca, con la mano sulla coscienza, ha esaminato il suo operato in campo giuridico ed ha notato che effettivamente, tra lodi, indulti, depenalizzazioni, archiviazioni, ricusazioni, scadenza dei termini etc etc, rischiava da solo di far crollare la portata generale delle condanne inflitte in Italia.

Al che, da genio dell'improvvisazione e dell'intrattenimento qual'è, ha deciso di avallare la seguente brillante soluzione: mettiamo in galera i writers! Si, "i writers", altrimenti detti in gergo italico "i graffittari": quei ragazzi che, bomboletta o pennarello alla mano, si dilettano a scribacchiare o disegnare sui muri delle città.

Passanti del sottopasso Perilli, attenzione: se vi beccano ad immortalare la Sindaco in versione Gioconda sull'elegante nuovo sfondo color crema chantilly, rischiate fino a "due anni di carcere, una multa fino a 5mila euro e l'obbligo di ripulire a proprie spese i beni deturpati"...

Ma non ci sono cose più urgenti e crimini ben più gravi di cui occuparsi? Mah...

domenica 26 ottobre 2008

Ma siamo felici?

No, non è Sere II L'Oscura che fa capolino, è la domanda che mi frulla in testa da venerdì, quando sono andata ad assistere ad una conferenza di Maurizio Pallante, esperto di risparmio energetico, che ha evidenziato la contraddizione di fondo nella nostra società: da una parte ormai è chiaro che l'inquinamento e l'esaurimento delle risorse energetiche sono un problema improcrastinabile, dall'altra politici ed industriali continuano a parlare di sviluppo e crescita, magari unendoci l'aggettivo (eco)sostenibile. Si tratta, dice Pallante, di un ossimoro, perché la crescita "illimitata" necessaria a sostenere il sistema capitalistico è ormai INsostenibile.

Pallante preferisce quindi parlare di DECRESCITA, magari unendola all'aggettivo "felice", intendendo non una regressione/recessione alla società pre-industriale, bensì una cultura economica ("una matrice di alternative integrabili alla vita moderna", la chiama lui) in cui le risorse vengano utilizzate al meglio senza sprechi e senza una spinta consumistica, in modo che si producano meno merci e più beni.

La cosa strana è che molti arrivano a queste considerazioni partendo da un punto etico, morale. Invece lui cerca di spiegare le ragioni che rendono inevitabile e necessaria la decrescita usando studi ed argomenti economici e finanziari.

L'esempio più tipico è quello dell'industria automobilistica: le riserve petrolifere non dureranno per sempre, e tutta l'industria che ruota attorno al petrolio e alle auto è fra le principali responsabili dell'inquinamento da monossido di carbonio e polveri sottili. A ciò devono aggiungersi altre considerazioni (il traffico che rende invivibili le strade, la perdita di energia durante le fasi di lavorazione del greggio e della combustione nei motori, per cui in totale si calcola che vadano persi i 2/3 dell'energia, eccetera). Una volta avuto il quadro completo, diventa chiaro che l'automobile (così come progettata ed utilizzata nelle nostre società) è ormai controproducente. Tuttavia, le industrie ed i Governi stessi (primi fra tutti noi, visto che l'Italia ha aumentato le emissioni nocive invece di ridurle ed ora il nostro lungimirante Governo sta anzi cercando di bloccare i nuovi piani europei in difesa dell'ambiente) continuano a sostenere e spingere il mercato automobilistico.

Pallante spiega che l'auto dovrebbe essere usata in modo più razionale, privilegiando le energie alternative, i trasporti pubblici, ma soprattutto evitando il più possibile di creare la necessità dell'auto: invece di aumentare e diversificare l'offerta, bisogna diminuire la domanda. Ad esempio, facendo car-sharing, comprando prodotti locali, e privilegiando filiere corte non solo per gli approvvigionamenti ma per tutte gli aspetti della vita (io, da brava pendolare, ho subito pensato a quanto sarei più felice se potessi andare al lavoro in bici invece di farmi 80 km al giorno, inquinamento ed ingorghi a parte).

Ma veniamo alla domanda filosofica del titolo: Pallante faceva notare che l'aumento del reddito nelle popolazioni occidentali sembra essere inversamente proporzionale alla loro percezione del benessere ed alla loro soddisfazione. Il paradosso si spiega ridefinendo il concetto di merce e di bene. Le nostre società puntano solo ad aumentare il PIL, che però è un parametro limitato, in quanto tiene conto solo della crescita dei consumi delle merci, non di altri fattori ugualmente o maggiormente importanti per il benessere delle popolazioni. Ad esempio, Pallante spiegava che un terremoto o una guerra sono classificati positivamente dal PIL, perché portano a maggiori consumi e quindi stimolano le industrie ed il commercio. Lo sfollato la vede in modo un tantino diverso!

Invece delle merci, le persone hanno bisogno di beni, ossia tutto ciò che contribuisce al reale e duraturo benessere personale e collettivo, e che, a differenze delle merci, non va sprecato. Come attuare la decrescita felice? Cambiando stile di vita (diventando il più possibile autonomi e ricominciando ad autoprodursi i beni e scambiarli in modo gratuito e reciproco), sostenuti ed incentivati da azioni governative coordinate a livello mondiale, e da un uso mirato della tecnologia (per eliminare gli sprechi e massimizzare le rese).

E qui iniziano i dubbi. Perché io abito in un condominio e con lo stipendiuccio da metalmeccanica devo pure pagare il mutuo (a tasso variabile!!!) e non mi posso permettere di sbudellare l'appartamento per renderlo eco-funzionale. Ed è anche vero che se mi autoproduco la verdura e magari la scambio col vicino che produce la marmellata io sono più felice perché so cosa mangio e non inquino (oltre a riallacciare rapporti interpersonali che aumentano la mia "umanità" ed il mio benessere). Però uscendo di casa alle 8 e tornando alle 20, mi resterebbe poco tempo (e pochissima voglia) di fare anche la contadinella. Dovrei farlo il sabato e/o la domenica, ma poi quando avrei il tempo per fare altro? Forse non sarei poi così felice... Molto etica ed economica, ma mica tanto felice...

In attesa degli incentivi statali (campa cavallo... ) la soluzione, per chi non ha la fortuna di avere una fattoria autosufficiente e congrue risorse economiche, è riunirsi in gruppi come i GA(A)S, ossia i Gruppi di Acquisto (e Autoproduzione) Solidali, e riallacciare legami interpersonali che ci facciano riscoprire il senso di comunità e ci ricordino che quando prepariamo una torta per i nostri amici siamo molto più felici di quando lavoriamo 9 ore in fabbrica per poterci comprare il cellulare nuovo...



Per saperne di più:
decrescita felice
felicità interna lorda

venerdì 24 ottobre 2008

Berlusconi non si smentisce mai!

Ultime notizie: Berlusconi smentisce di aver mai dichiarato di chiamarsi Berlusconi!

"E' tutta una montatura della stampa italiana, che persevera nella diabolica pratica stalinista di attribuirmi parole mai uscite dalla mia bocca, lo giuro sui vostri figli!" ha tuonato il Presidente del Consiglio dalla Cina, dov'è attualmente ospite come relatore in una conferenza governativa su "Democrazia e Comunicazione".

Immediata la reazione di Napolitano, che invita la stampa a moderare i termini, mentre la maggioranza presenta un decreto legge per l'abolizione della libertà di stampa, dichiarata incostituzionale!


domenica 19 ottobre 2008

Biowashball: i primi test!

Sono arrivate le palline delle mie brame: due Biowashball verde ramarro, sonanti come maracas, efficienti come ufficiali svizzeri (e non a caso...).

Arrivate esattamente (svizzere, dicevo...) una settimana dopo l'ordine on-line, sono state sottoposte fin'ora a tre diversi test casalinghi. Prima di tutto, però, vorrei premettere che non sono sponsorizzata dalla ditta che le produce né da chi commercializza invece detergenti tradizionali, non piglio una lira (pardon, un neuro) e non garantisco uguali risultati: queste sono mie personalissime valutazioni.

Ma cominciamo, che mi sento tanto Paco Lanciano! (PS: per calarvi nell'atmosfera, potete cliccare il video sottostante...)



Test n.1: Once Were White...


Ho ammucchiato parecchi capi (ex-)bianchi, di cui alcuni abbastanza sporchi. Accappatoi, asciugamani, tappeto del bagno, (ex-)biancheria, calzini di spugna ecc... Roba che di solito lavo a 60° (se non a 90°) con dosi generose di detersivo rafforzate da candeggina (et abbondante ammorbidente, sennò la mattina mi scartavetro la faccia con l'asciugamano). Stavolta ho impostato il lavaggio a 40° con una sola Biowashball.

Risultato: i capi sembrano abbastanza puliti (anche il tappeto del bagno che era fetidino dopo una settimana di calpestamenti), e sono morbidi (ovvio che il vecchio asciugamano "cartonato" non diventa magicamente soffice, ma almeno non si trasforma in una grattugia) e privi di odori. Dico abbastanza puliti perché alcune macchie non sono andate via del tutto, resta un po' di alone. Soluzione (suggerita anche dalla casa produttrice): pretrattare le macchie più difficili con sapone di marsiglia e/o lasciare il capo in ammollo con la Biowashball per un ora, oppure aggiungere 1/5 della dose normale di detersivo usata abitualmente.

Giudizio: da ripetere con pre-trattamento e due Biowasballs

Test n.2: Arlecchino


Ho fatto una bracciata di tutto ciò che non era bianco, mischiando una cacofonia di colori e tipologie di tessuti da fare inorridire qualsiasi lavandaia sana di mente. Niente di particolarmente sporco, solo da "rinfrescare" ma c'ho perfidamente ficcato anche la mia "divisa" del tennis ed i temibilissimi calzini del marito (roba che solitamente neutralizzo accuratamente per evitare che solerti ispettori di passaggio la scoprano seguendo la scia olfattiva, me la cataloghino come arma di distruzione di massa e vengano a bombardarmi il sottoscala). Ho pretrattato col sapone marsiglia alcune piccole macchie (tipo gli aloni del deodorante sulle maglie scure), e lavato il tutto con una sola Biowashball a 30° e senza ammorbidente.

Risultato: tutto pulito e morbido, e sconvolgentemente privo di qualsivoglia odore!!! Occhio però che la Biowashball non impedisce alla vostra impestatissima maglia rossa di stingere come ha sempre fatto negli ultimi due anni: io ho usato l'acchiappacolore...

Giudizio: me piace!!!

Test n.3: Sere, mo datte 'na calmata...

Avendo momentaneamente esaurito tutto il lavabile nella apposita cesta dei panni, oggi mi aggiravo irrequieta per la casa fin quando i miei avidi occhi da lavanderina mannara hanno messo a fuoco quel viluppo inestricabile che, in una casa gestita da una massaia come si deve, sarebbe stato ricomposto in un giaciglio perbene... Due secondi dopo, le lenzuola giallo canarino erano in lavatrice con una Biowashball a 40°.

Risultato: pulite, morbide, inodori.

Giudizio: la prossima volta scendo a 30°

Insomma, sembra che le pallotte funzionino bene. Ho altri test in programma (dalle tovaglie tempestate di skizzi und grassi ai delicatissimi maglioncini di lana), per cui appena possibile pubblicherò un secondo post.

Dopodiché, se qualcuno volesse provare le Biowashballs di persona, potrei anche prestarle, ma occhio che le ho battezzate: si chiamano Pietro-torna-sempre-indietro ed Emanuele-è-molto-fedele...

mercoledì 15 ottobre 2008

Spelling

Appena arrivata via mail: esilarante!

E' successo ad una nota compagnia telefonica:
CLIENTE: "Scusi dovrei mandarvi una lettera, mi dice l'indirizzo"?
OPERATORE CALL CENTER: "Tiscali Italia SPA, Strada Statale 195, Chilometro 2300, Località Sailletta, Cagliari..."
CLIENTE: "Scusi, come si scrive 'Sailletta'"?
OPERATORE CALL CENTER: " Le faccio lo spelling..."


Guardate l'allegato...


mercoledì 8 ottobre 2008

Il Metodo Antistronzi (Parental Advisory, contiene molte volte la parola stronzo)


Sempre nella scia dell’autoreferenziale che diventa la base per considerazioni di interesse generale (si spera), prendo spunto dalla supermega et ingiustificatissima ciga che mi sono presa oggi in ufficio dal numero 2 dell’azienda, che mi ha anche dato della testa di cavolo (bah, ci sono insulti molto più efficaci, questo sembra quello di un bambino di 5° elementare...) per parlare di un altro libro, che consiglio vivamente a tutti coloro che si trovino in contatto con una persona catalogabile come “stronza”.

Praticamente, lo consiglio a tutti!

Si tratta del “Metodo Antistronzi” di Robert I. Sutton. Scritto in modo estremamente piacevole e scorrevole, nonostante la mole di dati, nomi, esempi e informazioni usate per avvalorare la tesi dell’autore, è un manualetto che insegna come riconoscere gli stronzi (compreso quello che si cela in ognuno di noi), dimostra quanto codeste persone siano nocive in termini di redditività aziendale, e propone alcune semplici tattiche per disfarsene (se possibile) o difendersene.

Il fulcro della teoria di Sutton, sviluppatosi dalle sue esperienze pratiche ed elaborato a partire dal 2004, quando venne incluso fra le “20 idee rivoluzionarie per l’economia del futuro” individuate dalla Harvard Business Review, è che la presenza di uno stronzo nell’ambito lavorativo va vista come un male non necessario ed evitabile, sovvertendo il cliché per cui un capo (o un collega) deve essere stronzo per ottenere il massimo dai suoi subordinati (o colleghi).

Innanzitutto si definisce il concetto di stronzo: in ogni ufficio (come in ogni gruppo) c’è sempre qualcuno che non ci sta simpatico o ci mette a disagio se non proprio in grosse difficoltà, ma bisogna distinguere tra semplici antipatie personali, o comportamenti sgradevoli dovuti magari ad un periodo particolarmente stressante (nel caso dei cosiddetti “stronzi temporanei”). Tutti possono comportarsi male se hanno avuto una giornataccia, ma i veri “stronzi patentati” si riconoscono in quanto “personalità distruttive, autentici oppressori per vocazione e professione che feriscono il prossimo e danneggiano la produttività aziendale” e che “regolarmente si comporta(no) male a prescindere dal tempo e dal luogo”.

Il problema è che la stragrande maggioranza delle aziende li ignora, li tollera o addirittura li incoraggia, convinti che la prepotenza sia sintomo di leadership (un po’ tipo il maschio alfa nel branco). Invece Sutton dimostra che gli stronzi sono assolutamente dannosi per le aziende, soprattutto quando si trovano in posizioni di potere: aumento del numero di persone che lascia il lavoro e parallelo calo dell’attaccamento all’azienda da parte delle vittime che decidono di restare; perdita di efficienza e distrazione dei lavoratori dai veri obiettivi, perchè tutte le loro energie sono dedicate all’autodifesa invece che alla collaborazione; diminuzione della capacità di iniziativa a causa della paura; assenteismo e, nei casi più estremi, costi diretti per corsi, cause, consulenti... Particolarmente toccante mi è sembrata questa descrizione: “l’impatto (dello stronzo) sull’organizzazione nel suo complesso, o sulla sua capacità di rispondere ai bisogni interni ed esterni” era “pesante. Le comunicazioni si riducevano ad e-mail scritte per pararsi il culo, lunghi e dettagliati promemoria e riunioni piene di testimoni (…) accordi sottobanco tra quei pochi che si fidavano l’uno dell’altro...”
Mah, ho come un dejà-vù...

Sutton arriva addirittura a calcolare il costo degli stronzi (chissà se potessimo inserirlo nel cruscotto...) e suggerisce alle ditte di disfarsene o metterli in condizione di non nuocere perché, anche nei casi in cui si tratta di persone intelligentissime ed efficienti, costano comunque più di quanto non fruttino. Ecco una frase che vorrei affiggere su tutti i muri: “i top manager non sono superstar o esseri superiori” e ridurre la differenza fra i loro super-salari e quelli dei comuni dipendenti porterebbe tutta una serie di ripercussioni positive in efficienza e qualità, oltre che nell’attaccamento dei dipendenti all’azienda, perché “quando le differenze tra le persone (…) ai vari livelli della scala gerarchica vengono sottolineate ciascuno tira fuori il peggio di sé (…), si trasformano in bastardi spietati che non guardano in faccia a nessuno pur di salire qualche gradino nella gerarchia e buttar giù un rivale”.

L’autore propone alcuni test di valutazione, ed una lista (la sporca dozzina) di azioni/comportamenti abietti che solitamente caratterizzano il comportamento dello stronzo patentato.

Ho fatto il test e con orrore, ma anche una punta di perversa soddisfazione, mi sono accorta che ultimamente, solo ed esclusivamente nei confronti del mio collega stronzetto, mi sto comportando male, maluccio, malino (un po’ passivo-aggressiva, emano ostilità latente, che si manifesta nel fatto che tendo a non parlarci, non guardarlo, evitarlo più che posso). La vendetta è dolce perché lo ripago sul suo stesso terreno, ma anche un po’ inquietante... Prima però che mi mettessi a gridare “OHMMMIODDDIO, sono diventata un mostro” e battermi il petto, è arrivato Sutton in mia difesa, in quanto lui prevede che ”l’esposizione prolungata alle prepotenze tende a trasformare le vittime in stronzi” perché “la stronzaggine è una vera e propria malattia contagiosa”. Ohmmmioddddio, sono stata contagiata!!!

Ma in fondo, come dice l’autore, a tutti capita di fare gli stronzi almeno una volta nella vita, l’importante è riconoscerlo e controllarlo: “ammettere che sei uno stronzo è il primo passo”. Inoltre, prosegue Sutton, “il miglior indicatore del carattere di ognuno è la differenza tra il modo in cui tratta i potenti e il modo in cui tratta le persone qualunque”: se il vero stronzo è colui che attacca solo i soggetti più deboli allora evviva, ho già risposto per le rime a tanti di quei dirigenti che praticamente ho un piede nella fossa, ma la mia anima è salva!!!

Fondamentale comunque ripassarsi di tanto in tanto il capitolo 4, “Come tenere a bada il proprio stronzo interno”, ed il 5, “Nel regno degli stronzi: piccoli consigli per sopravvivere” (il titolo aggiunge: “in ufficio”, ma credo che la regola possa valere per tutti i campi della vita, perché di stronzi è pieno il mondo!)

A testimonianza di come l’argomento sia preso seriamente negli USA, hanno perfino inventato lo stronzomentro (jerk-o-meter), un aggeggillo che si può attaccare al telefono per valutare vari elementi (stress, empatia e “fattore complessivo di stronzaggine”). Purtroppo, non è in vendita...

PS:
un'altra recensione si può leggere qui.

martedì 7 ottobre 2008

Libri: Collodoro di Salvatore Niffoi

Giornate di scazzo cosmico, imperioso, inspiegabile... Oddio, in realtà sotto sotto potrei anche sapere a cosa è dovuto, ma non lo voglio ammettere, e quindi lo ammanto di mistero e arcano... Sono bravissima a spargere cortine fumogene, forse è per questo che già da piccola tutti a casa mi chiamavano "seppia"!

Mah, vabbè, queste sono considerazioni vanamente autoreferenziali, che vorrei lasciare da parte, in onore di Andrea... anzi, ho un'idea per salvare capra&cavoli: le prendo come punto di partenza da ampliare in senso generico ed anche un po' letterario. In pratica, voglio parlare di un libro. Premetto che sono una lettrice accanita, da sempre. Già da piccolissima ero affascinata dalle storie, e guai se il narratore di turno non si ricordava più i dettagli di quelle che inventava per saziare questa mia brama di racconti: ancora ho vivo il ricordo di una enorme delusione la volta che, a qualche giorno di distanza, chiesi a mia madre di narrarmi nuovamente la storia del martin pescatore che si ruppe il becco contro una pietra, e lei confessò di non ricordarsela più perché se l’era inventata al momento... probabilmente una delle prime frustrazioni insanabili della mia vita... che marmocchia rompiballe sono stata... (quasi quanto l'adulta di adesso...)

Comunque, dicevo che sono una lettrice onnivora e ingorda, leggo di tutto, dai saggi ai romanzetti (quando proprio sono in astinenza mi studio anche le etichette dei detersivi o dei cosmetici). Unico genere che proprio non reggo: le collane "rosa" tipo Harmony & Co., tutte 'ste storie d'amore trite e ritrite con, indipendentemente dalle coordinate spazio-tempo-culturali, una donna che è sempre bellissima e tormentatissima, un'omo-orso che è sempre macho fuori e tenerissimo dentro (una specie di immensa torta rustica ripiena alla melassa), e l'amore in trionfo che alla fine prevale su tutti i problemi e dissolve ogni incomprensione... Ma andate a cagare, va!!! Tolto questo genere, la mia biblioteca comprende un po' di tutto, e a tutto mi accosto senza grossi pre-giudizi, nel senso che i libri mi piace dapprima divorarli voracemente e barbaramente (senza sapere nulla - o il meno possibile – su trama e autore), e gustarmeli con calma dopo, una volta esaurita l'urgenza del finale, approfondendo anche il contesto.

Tutto 'sto popò d'introduzione per parlare dell'ultimo romanzo che ho letto, ovvero Collodoro, di Salvatore Niffoi.

Ambientato nell’entroterra sardo in un periodo imprecisato che per me potrebbe benissimo essere collocato fra il dopoguerra e l'altroieri, è la vicenda corale di un villaggio e dei suoi abitanti, alle prese con il progetto di una discarica da collocare fra le loro montagne. Fra tutte, in primo piano c’è la storia di Antoni Sarmentu, che, colpito dal fulmine, acquisisce il talento singolare di poter vedere nel cuore degli uomini.

A mio personalissimo (e quindi insindacabile) giudizio, mi è piaciuto ma si tratta di una storia che mi sarebbe piaciuta moltissimo... narrata in modo diverso! Adesso non vorrei ferire l'orgoglio degli internauti sardi che dovessero imbattersi in questo post, ergo prima di proseguire ribadisco che non sono un critico letterario: espongo solo mie impressioni basate su una lettura istintiva e naif, con l'unica linea guida del mio gusto personale.

Detto questo, ho trovato eccessivo il continuo ricorso all'idioma sardo (tratteggiare la realtà locale anche dal punto di vista sonoro va benissimo, ma il piccolo glossario finale contiene a malapena metà di quello che sarebbe necessario per uno del "continente") e le descrizioni troppo cariche di aggettivi, onomatopee, metafore e lirismi, che rendono la lettura un po’ faticosa. Inoltre, un po' pesante mi è sembrato anche il continuo interscambio fra personaggi "terreni" ed elementi mitici e magici, non tanto nella figura della Madonna di Gonare (che fonde archetipi pagani e cristiani in una simbiosi sempre mutevole ma coerente) o in alcuni episodi densi di echi arcani (tipo quello del ritrovamento delle statuette pagane), quanto nelle innumerevoli apparizioni, epifanie, voci incorporee, miracoli... Ad un certo punto ci si ritrova in mezzo a divinità antiche, statue, giganteschi arcieri di bronzo multiarti, fantasmi, zombi, eccccccheè? Vabbè che le culture popolari, pastorali e contadine, mantengono vive le tradizioni antiche con i loro miti e le loro magie, e capisco che l'autore probabilmente vuole simboleggiare il fatto che in quel momento tutta la Sardegna passata presente e futura si stringe attorno alla popolazione, ma così sembra piuttosto che i popolani di Oropische soffrano di allucinazioni collettive!

Questo alla prima lettura. Alla seconda sono rimasta più o meno della stessa opinione, ma ho potuto apprezzare di più le note biografiche disseminate nella storia e la bravura nell'intersecare le diverse vicende umane portandole infine a comporsi in un unico grande ritratto. Tutto sommato, un libro che mi ha incuriosito, credo che mi toccherà leggermi un altro romanzo di Niffoi...

Qui si può leggere una recensione diametralmente opposta alla mia, che esalta soprattutto quello che a me invece non è piaciuto. Il bello dei libri è questo: chi li scrive non sa mai cosa ci vedrà poi il lettore! Ajò!

mercoledì 1 ottobre 2008

La tecnologia facilita il lavoro?

Intanto che aspetto di mettere le mani sulla pallotta verde, per accurati e prolungati test scientifici, pensavo alle tante notizie di questi giorni, che ci fanno capire quanto la tecnologia può fare per semplificarci la vita: lavatrici che lavano senz'acqua, palline che rimpiazzano i detersivi, asfalto applicabile anche sul cranio, eccetera eccetera...

Però non sempre la tecnologia ci è amica... Soprattutto in ufficio, dove è sempre pronta a piantarti in asso nel momento del bisogno!

Quand'è che le stampanti vanno in sciopero? Il giorno prima della chiusura del trimestre, ovvio!!!

Quand'è che il telefono inizia a crepitare come se fosse posseduto da una scodella di pop-corn? Quando ti chiama (incazzatissimo) il più importante cliente straniero, di cui, quando è tranquillo, si capisce a malapena una parola su 25!!!

Quand'è che il tuo pc decide che è venuto il momento di lasciare questo mondo crudele? Mentre tu stai ultimando una ricerca impestatissima che il tuo capo esige entro i successivi 2 nanosecondi!!! (In questi casi, si possono assistere a reazioni disparate e... disperate)

Quand'è che il telecomando dell'apparato di videoconferenza non funziona? Nel momento in cui hai bisogno di entrambe le mani libere e... un po' d privacy!!!



Fortuna che io mi limito ad usare il telefono... Ma lo uso talmente tanto che ormai ho un'apposita cunetta nel deltoide sinistro, ove incastrarlo agevolmente mentre digito sulla tastiera come una forsennata. Invidio ferocemente i colleghi dotati di cuffiette... anche perché talvolta mi sorge il vago sospetto che, dietro quella loro aura di dedita efficienza, si nasconda dell'altro...